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Concorso letterario di poesia e narrativa "Terra d'uomini"
I Edizione

Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio 2013
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Risultati

Risultati I Edizione del Concorso letterario di poesia e narrativa “Terra d’uomini”


Sezione Poesia:

  • 1° classificato: Maurizio Bendrice, Roma, “Senza Promesse”
  • 2° classificato: Domenico Luiso, Bitonto, “Sale la sera”
  • 3° classificato: Massimo Silvotti, S. Giorgio p.no, “Vento”


Sezione Narrativa:

  • 1°classificato: Emiliano Budriga, Reggio Emilia, “Un paese per vecchi”
  • 2° classificato: Anna Vera Vica, Napoli, “Un ragionevole rischio”
  • 3° classificato: Paolo Borsoni, Ancona, “Viaggi”

Opere vincitrici


1° classificato sezione poesia: Maurizio Bendrice, Roma


Senza promesse


I


Ho cercato negli occhi
un ponte fra noi due
uoveri uomini qualunque


II


Che stanno in piedi
abituati all’oggi e al domani,
senza l’attesa fanciulla ma solo e sempre
fingendo di
non avere sete.
Non sei forse tu un me?
Una mano non ti ha accarezzato un giorno?
Non hai pianto anche tu un
Giorno di nascosto?
Non hai anche tu sentito
un giorno la vertigine della paura?
Eppure, ognuno si stima un dio tanto
basta a maledirti per un un nulla.
E perché?
Cosa ci fa stimare così
preziosi?
L’ingiustizia non è tutta tua.
Chi la permette, venga e
risponda.


III


Qualcosa mi spinge verso te, ma
solo per scoprire che non sei tu.
Non ha difese immediate,
perché le ferite sono
irreparabili.
Geme in noi,
l’infante mistero.
Saremmo come giovani amici
se rinuncia daremo al vano fuggire.
Non fuggirò da te.
Il corteggio è finito.
I giorni muoiono.
Ognuno la sua tomba. Inutile
insepolcrirli
Con scuse scritte o
pensieri morali sul male.
Geme in me, geme in te.
Non posso chiuderti nelle mie promesse.
Perché dovrei maledirti?




1° classificato sezione narrativa: Emiliano Budriga, Reggio Emilia


Un paese per vecchi


La prima volta risale a molto tempo da. Mi sembra al corso di catechismo per la prima comunione. Eravamo un piccolo gruppetto. Quasi tutti erano del mio quartiere, tranne Pasquale. Ci teneva le lezioni un prete, che nessuno ascoltava. Io facevo finta di ascoltarlo, perché sapevo di odiarmi se fossi arrossito quando ci beccava a bisbigliare.
Ma tra quei dieci che eravamo lui era un po’ più strano di tutti. Ascoltava il prete, con lo sguardo che poteva avere un adulto. Ci era simpatico, perché gli faceva sempre delle domande che lo lasciavano a bocca aperta. Il prete non poteva che dire “andiamo avanti”. Mi ricordo solo di una volta – ma vagamente, gli anni sono tanti – che ci si parlava dei sacramenti di qua, dei sacramenti di là. Il prete chiese “qual è il più importante dei sacramenti?”. Tutti stavano per dire “l’eucarestia”, ma lui alzò la mano e disse “se non ci fosse la Chiesa a cosa servirebbero i sacramenti?”. Il prete non rispose e disse come sempre “andiamo avanti”. Di quel periodo mi ricordo solo che una domenica, Pasquale era seduto in prima fila. E mentre si attendeva il lettore della seconda lettura venire dal fondo, lui si alzò e andò a leggere.
Era una di quelle domeniche in cui c’era il pienone. Gente fuori a fumare o al telefono, gente dentro a chiacchierare.
Come al solito. In banca tutti stanno zitti. In chiesa, no. (Mi sembra fosse stata una Pasqua). Quando andò Pasquale, ci fa un improvviso blocco di ogni chiacchiericcio. Il prete, dall’altare, lanciò un’occhiata al coro, per cercare il gruppo di catechiste, per fermarlo. Le catechiste erano già su di giri. Nessuno poteva leggere all’altare se non aveva fatto almeno la cresima. Lui non aveva fatto nemmeno la prima comunione. Non che sembrasse un bambino. Anzi, per la sua età, sembrava più vecchio di noi. Era alto, e snello. Aveva gli occhi piccoli. Non come i giapponesi, ma piccoli e tondi. Il lunedì seguente il prete lo rimproverò. Ma io non ne seppi nulla. E non vidi più Pasquale tra noi. Provammo a chiedere, ma ci dissero solo che si era trasferito con tutta la sua famiglia. Ne rimasi deluso, soprattutto perché mi ero affezionato alla sua presenza, anche se alla lontana. Mi piaceva quando rispondeva, educatamente ma con un acutezza impressionante. Mi ricordo anche che sognai, quel giorno, di boiccottare il catechismo, una specie di protesta a favore di Pasquale. Non se ne fece nulla. Avevo, d’altronde, solo 12 anni.

Passarono molti anni. Lo rividi a Bologna. Mi ero da poco laureato. Frequentavo una ragazza, da ormai quattro anni.
Ogni anno andavamo a San Luca, al santuario della Madonna, quello che si vede pure dall’autostrada. Elisa ci teneva in modo particolare. Suo padre aveva fatto “voto” di salutarla ogni primo maggio. Sembra che lei si sia salvata da un incidente d’auto grazie alle preghiere del padre alla Madonna di San Luca. Erano ormai quattro anni che ogni primo maggio andavamo lì. Successe che incontrai Pasquale in treno, di ritorno al mio paesello del sud. C’erano anche Lorenzo e Gigi, dei tempi del catechismo. Tutti e tre avevano una barba nerissima. “Ma guarda un po’ chi c’è!” mi disse Gigi, nel corridoio. “C’è anche Pasquale”, mi sussurrò. Ci sedemmo e facemmo tutto il viaggio insieme. Parlammo di tutto. Di libri, di film, di politica, di donne, di filosofia, passando da un argomento all’altro con…linearità. C’era nelle discussioni un filo conduttore. Ma me ne accorsi dopo, quando ci salutammo. Si parlò anche del senso della vita, senza banalità né pedanteria. Mi ricordo bene una frase di Pasquale. “Qual è stato il più grande miracolo di Gesù?”. Ci fu un brevissimo silenzio, per liberarmi del quale gettai un’occhiata al corridoio. Non mi ero accorto che s’era formato un grumetto di persone che ascoltavano i nostri discorsi. Gigi continuava a guardare Pasquale. Io volevo rispondere, e dalle labbra stava per uscire la risposta “la resurrezione di Lazzaro”. Ma Pasquale si e ci diede la risposta. “Ha fatto un gruppo. Un gruppo di uomini e donne che ha sfondato la storia. Si è nascosto dentro quel gruppo. Per seguirlo bisogna seguire quel gruppo che segue lui.”. Non dimenticherò il senso dell’humor di Pasquale. Come era cambiato!Voglio dire nei lineamenti. Quasi non lo riconoscevo più. I suoi occhi piccoli e tondi erano rimasti. Ora sembravano anche più piccoli per via della barba. Snello e alto, come da ragazzi. In quella bella oretta che trascorremmo, arrivò come un fulmine la spada che ci separò di nuovo (loro scendevano a Firenze). Gigi, guardando Lorenzo, che si era messo a leggere un libro, mi chiese: “perché non vieni con noi? Facciamo un convegno dalle nostre parti. Non è lontano.
Staremo lì due giorni. Ci potresti dare una mano con l’organizzazione. Ci sarà molta gente”. Volevo andarci. Davvero.
Anzi la cosa mi eccitava meglio del pensiero dei baci che mi dava Elisa. Lo confesso. E dissi: “Sì, vengo. Quand’è?”. “Dal primo maggio al due”. Mi si oscurò il viso. Sembra una cosa da nulla. Ma non stare vicino a Elisa il primo maggio significava perderla. Mi avrebbe lasciato, lo so. O almeno lo immaginavo. “Se mi vuoi bene, vieni con me. Lasci i tuoi impegni. Cosa c’è di più importante della Madonna?”. Mi aveva detto una volta. Solo ora capisco cosa le avrei dovuto rispondere. Solo ora. Perché?

Perché, come era ovvio, risposi di no. Pasquale replicò, in sordina, abbassando la faccia, come guardandosi le gambe, e sussurrò “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. Ma subito cambiò argomento. E così ci separammo per la seconda volta. Iniziai la carriera di funzionario dell’Agenzia delle Entrate. Una vita eccitante all’inizio. Per via dei primi soldi che arrivavano. Posto fisso, che nessun mio coetaneo aveva. Io, in realtà, ci ero entrato perché un mio zio era andato in pensione e sapeva come funzionava l’assunzione in quei posti. Dopo un paio di anni, arrivò di nuovo la noia.
Il giorno dietro una scrivania a pigiare tasti e inserire numeri e a controllare quale poveraccio non pagato le tasse, la notte con Elisa, e i suoi “piaceruzzi notturni”. Ma divenni anche una cosa spaventosa: un uomo onesto. Ligio alla legge e alle norme.

Successe allora che Pasquale ricomparve nel nostro paesello. Un poveraccio della Nigeria non aveva da che sfamare la famiglia. Sua figlia di tre mesi era denutrita. Non bastavano le elemosine della parrocchia (poche centinaia di euri). Vivevano in tre in un garage. Di case nel nostro paesello ce n’erano, ma erano tutte chiuse, riservate ai turisti, all’estate. Erano case come i loro padroni, in letargo. Nessuno affittava più, tanto meno agli africani, o ai lavoratori saltuari, perché sapevano che non pagavano. Io, da uomo onesto e rispettoso, continuavo ad andare a messa, tutte le domeniche. E vi trovavo molti di quegli affittuari. Mi vergognavo di me. Lo facevo per Elisa, che, dopo San Luca, qui aveva trovato la sua Madonna. La Madonna del Carmelo. Forse lo facevo solo per i piaceruzzi notturni.

Successe una cosa impensabile. Per quello che ne sono venuto a sapere, c’entrava ancora una volta Pasquale. Uscì il bando per una lotteria. Primo premio diecimila euro. Il biglietto costava un nulla. Un misero euro. La voce si sparse subito. E la cosa attirava molti, soprattutto i giocatori accaniti, che presto fecero i calcoli di probabilità. I premi a soldi attirano soldi. Da sempre. In un mese si vendettero tutti i biglietti. Credo più di ventimila. Alcune persone comprarono anche più biglietti. L’estrazione era congeniata bene: si estraevano prima i numeri, dalle migliaia fino all’unità. Per legge, il vincitore doveva essere reso noto. E sui giornali, anzi, sull’unico giornale, filo-sindaco, che c’era, uscì il nome di un certo Vito Spadella. Il mio direttore mi sorteggiò per andare a fare un controllo di routine. Non era mai successo in 7 anni. Così, prendemmo la macchina, tre del mio ufficio più io, e andammo alla via che ci era stata comunicata. Via Cantalamessa 2.

Era una strada in collina. Anzi, no, se ricordo bene, era in aperta campagna. Era di agosto. C’era una calura impressionante. I campi sembravano delle coperte d’oro. Fatto sta, che in via Cantalamessa 2 non c’era nessuno. O meglio, c’era un rudere e di sicuro non ci abitava nessuno. Quando tornammo per redigere il nostro rapporto, mi si chiese: “Scrivi anche il responsabile di questa truffa”. “Come si chiama?” chiesi. “Pasquale Natta”. “Chi?”. “Pasquale Natta, non ci senti?”. “Non è possibile”. Dissi io. Era lui. Era proprio lui, di nuovo lui. Dopo sette anni, lo incontravo ancora. Senza che fossi andato a cercarlo. Ero girato di spalle, mentre il mio collega dettava. Non scrissi il nome. “Lo consegno io dopo. Ricontrollo tutto. Tu vedi quella storia con quella pratica della Maddalena”. “Non fare tardi”. Uscii di nascosto dall’ufficio. Mi precipitai alla mia auto, e andai da chi sola poteva sapere come stavano le cose. Mia zia Eleonora. Non la vedevo da parecchi tempo. Sapeva tutto di tutti, e lo raccontava come se leggesse un racconto, una novella. Senza falsificazioni. Era seduta al muro con il sole delle cinque, tiepido, all’ombra di quel muro bianco, dove per tante volte avevo giocato con Gigi e Lorenzo, con i tappi delle bottiglie. Lì si radunavano le donne del vecchio quartiere, e mi zia ascoltava notizie, le filtrava e le ricomponeva.“Sì, è stato Pasquale. Erano quelli che venivano al catechismo con te. Sono cresciuti tanto e insieme erano di una compagnia amabilissima. Mi venivano a trovare ogni estate. Insieme agli altri due, avevano consciuto quel tale della Nigera. Mi sembra si chiamasse Evis. Ne furono commossi che di primo punto andarono a parlare con l’assessore al Comune, che gli rispose le solite cose. Non ci sono fondi, non ci sono strutture. Le solite cose. Poi andarono dal prete, quello della tua parrocchia. Gli rispose di rivolgersi alla Caritas. Andarono anche dal vescovo. Ma mi sembra che non ci stettero che pochi minuti, perché Pasquale se ne andò quando il vescovo gli chiese di quale parrocchia era. Sicché – me lo ha detto Lella, la fidanzata di Gigi – organizzarono questa cosa della lotteria, per pagare a Evis le spese. Quali spese? Evis era un ingegnere. E sapeva riparare le cose. Ma gli serviva un negozio, e delle cose… Ma soprattutto gli serviva il cibo, per la figlia e la moglie. Con ventimila euro avrebbe sistemato tutto. Ma non qui. Credo in provincia. Aveva già pensato a come partire. Gli servivano quei soldi. E li aveva chiesti a Pasquale. Puoi immaginare a chi siano andati quei soldi e chi è davvero Vito Spadella”. Non seppi cosa fare. Da uomo onesto che ero, avrei dovuto denunciare Pasquale. Se non lo facevo io, lo avrebbe fatto qualcun altro. Da zia Eleonora capii, dalle parole che mi disse in seguito, dove potevo trovare Pasquale.
Avrei dovuto correre da lui. Avrei dovuto correre a licenziarmi da quel lavoro assurdo che facevo. Avrei dovuto lasciare Elisa. Ma non l’ho fatto. Pasquale, Gigi e Lorenzo andarono via. E’ passato un anno ormai, e non so se li incontrerò ancora. Questo paese è diventato un paese per vecchi, e per figli di vecchi, entrambi che attendono la morte mentre giocano a carte.


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